Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa – non importa quanti esattamente – avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m’interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. È un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione

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sabato 8 ottobre 2011

Ossessione epistolare


È in ogni uomo attendersi che forse la parola, una parola, possa trasformare la sostanza di una cosa.
Ed è nello scrittore di crederlo con assiduità e fermezza.
È ormai nel nostro mestiere, nel nostro compito. 

È fede in una magia...
E. Vittorini
Foto: Debora S.
'La vita scorre nell'inchiostro'

Abbastanza di recente mi sono dedicata alla lettura di un libro di Grazia Deledda, pubblicato da Feltrinelli e dal titolo Amore lontano, lettere al gigante biondo
Quest'opera mi ha offerto un’immagine diversa e più ardente della scrittrice sarda rispetto a quella restituitami dalle biografie ufficiali; alla donna estremamente schiva e riservata, dedita esclusivamente alla scrittura e alla vita domestica e familiare, si è sostituita una creatura più istintiva, spirituale, passionale e determinata.
La Deledda infatti, ancora giovane, si innamorò perdutamente del bel Stanis Manca, un “gigante biondo” che non solo non ricambiò la passione, ma che, sprezzantemente e molto poco galantemente, si permise persino di deridere la geniale scrittrice...

Ma le donne sono per natura granitiche nei sentimenti e nell’amore in particolare, difficilmente si arrendono ad un rifiuto ed anzi, più si vedono respinte, più finiscono per legarsi visceralmente all’oggetto del proprio desiderio, evitando di guardare in faccia la realtà: “Io penso ancora a voi, nella tristezza di sere come questa, quando il vento fa tremare i miei nervi e mi apporta il riflesso spirituale di lontane amarezze” scrive una desolata e poetica Deledda all’uomo che neanche si limita a rifiutarla, ma la deride persino.

Uno scorcio della mia libreria con gli 'attrezzi del mestiere':-)




Epistole: archiviata passione.








Lewis Carroll, con la frase "L'uomo è un animale che scrive lettere", scolpiva quella vera e propria ossessione epistolare che da sempre affligge e delizia il genere umano.
Un'ossessione di cui le lettere d'amore sono il cuore e il motore. Basti pensare a Sibilla Aleramo, che ne scriveva alcune lunghe fino a centocinquanta pagine, all’epistolario di Voltaire che ne conta più di ventimila, a quello di Proust che è raccolto addirittura in diciannove volumi.
Da questa riflessione è nato il libro 'La sindrome di Eloisa. Da Ovidio a Henry Miller, da Emiliy Dickinson a Simone de Beauvoir'
Alla fine di questa lettura sembra di conoscere un po’ meglio i “mostri sacri” che hanno abitato su quei fogli, e si prova un sottile piacere voyeuristico ad entrare nell’intimità dell’autore che ferma sulla carta il suo cuore, come accade leggendo questa frase di Katherine Mansfield su una lettera appena ricevuta: “L’ho letta dal principio alla fine… l’ho mangiata, respirata, e alla fine mi sono scaraventata giù dal letto, ho aperto le persiane e ho visto che il giorno era azzurro e che brillava il sole”.
La lettera, dunque, come oggetto fisico che scatena le più disparate reazioni emotivo-affettive, e come simbolo di un modus vivendi e amandi che spinge, inesorabilmente, ad una risposta, prima di tutto a sé stessi.

Fernando Pessoa, che scrive d’amore gustandone l’assenza fisica, in una distanza cercata e perseguita con artifici ad hoc -, quelli di Kafka con le sue quattro donne più importanti, che rifiuta spesso di incontrare in nome della creazione letteraria!
Nelson Algren, invece era uno scapolo impenitente ma innamorato di Simone de Beauvoir. La scrittrice rifiuta la sua proposta di matrimonio, e nel celebre romanzo I mandarini spiattella tutti i segreti della sua relazione d’oltreoceano, utilizzando come materiale le stesse lettere di Algren, che in seguito scriverà: “Ho frequentato i bordelli di tutto il mondo, e lì le donne chiudono la porta… Lei, invece, ha spalancato la camera da letto e ha invitato il pubblico e la stampa ad entrare”.
La lettera, insomma, diviene sede di apertura e chiusura, narcisismo e dedizione, passione violenta e tiepido avvertimento, recriminazione e oblazione di sé. L’analisi di Gianna Sarra è da lodare per il suo rigore, e spiana il cammino a nuovi campi di ricerca, sia letteraria che psicologica. 


Ma né la letteratura né la psicologia tolgono a queste lettere d’amore la spontaneità di un atto che nasce dal sentimento assoluto. 

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