Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa – non importa quanti esattamente – avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m’interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. È un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione

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venerdì 22 giugno 2012

VITE STRAORDINARIE: INGEGNER CARLO SEMENZA

Sono contenta che Gioele, mio figlio, sin dall'età di otto anni, abbia preso a modello un grande uomo e professionista del passato, un ingegnere che ha lasciato al mondo intero pregevoli strutture e del quale desidero oggi editare una breve biografia.
Si tratta di un mio personale tributo ad una figura che, alla stregua di Gioele, ammiro moltissimo: CARLO SEMENZA.




Carlo Semenza rappresenta uno dei più talentuosi ingegneri civili che il mondo abbia mai conosciuto.


Egli nasce a Milano il 9 Luglio 1893 e muore improvvisamente per emorragia cerebrale, a Venezia, il 30 Ottobre 1961, cioè due anni prima della tragedia che ne segnerà pesantemente la memoria, ossia  'la frana del Vajont'.
Non è necessario però entrare nel merito di questo contenzioso ancora aperto per penetrare e comprendere la sorprendente carriera di una figura che è sempre stata di primo piano, sia nel panorama ingegneristico italiano, che in quello internazionale.




Uomo dotato sin da giovane di formidabili capacità e determinazione, Carlo Semenza a ventisei anni si laurea a pieni voti presso una delle più prestigiose facoltà d'ingegneria d'Italia: quella di Padova.
Siamo nel 1919 ed egli decide di integrare il suo iter applicandosi allo studio complementare dell'idraulica che gli permetterà, poco dopo, di avviare una felice collaborazione con colui che sempre definirà suo maestro: l'Ingegner Vincenzo Ferniani.
Il giovane Semenza comincia a muovere i primi passi in quell'ambito che mai abbandonerà e nel quale opererà con successo per tutta la sua vita: le dighe.
Egli, infatti, dopo essere entrato nello staff di Ferniani; una equipe di ingegneri che si dedica alla Direzione Lavori degli impianti idroelettrici del Piave e di S.Croce, verrà incaricato di occuparsi delle opere accessorie della diga di Bastia.


Per capire, però l'excursus della carriera di questo progettista è opportuno ricordare che a partire dagli anni '30, nel nostro paese, la S.A.D.E. (Società Adriatica di Elettricità) aveva elaborato, nel suo mosaico economico che interessava le regioni Veneto e Friuli, la costruzione di una sorta di laboratorio idroelettrico; un imponente sistema di impianti necessari a far fronte alla crescente richiesta di energia, un progetto al quale venne assegnato l'appellativo di  "Grande Vajont" ed è proprio nel cuore di questo colossale progetto, che andrà ad inserirsi il nome di Carlo Semenza.
Sarà egli infatti l'ideatore dei più importanti ed imponenti serbatoi, canali, sbarramenti del sistema Piave-Boite-Maè-Vajont; una vasta tipologia di straordinarie costruzioni alle quali dedicherà un impegno assoluto e rivolto ad ottenere un uso delle acque finemente unitario e perfettamente integrato nel territorio.
Nello specifico, le dighe progettate per quest'asta, furono:

'Vodo': sul torrente Boite; una struttura decisamente avveniristica.


Io a Pontesei
'Pontesei': sul torrente Maè; un manufatto caratterizzato da uno sfioratore 'a calice' di estrema eleganza architettonica (foto a sx).


'Valle di Cadore': sul torrente Boite.


'Pieve di Cadore': sul fiume Piave; sbarramento storico del gruppo, perché  edificato per primo e quindi emblema, oltreché capostipite, dell' intero impianto. 




Pieve di Cadore
'Val Gallina': sul Rio di Val Gallina; diga ad arco arginante la vasca di carico punto di interconnessione tra i vari sbarramenti e la centrale di Soverzene.


Vajont: il più ardito progetto del Semenza; una maestosa lama di cemento che ha segnato la storia dell'ingegneria idraulica; un manufatto dotato di aristocratica bellezza, elegante nella sua imponenza (ben 261,6 m).


Val Gallina



Suddetti capolavori architettonici permangono tutt'oggi, incastonati armoniosamente nel paesaggio in cui sono sorti all'epoca della loro edificazione proprio come altre costruzioni che portano la prestigiosa 
firma dell'ingegnere lombardo:


La Maina

'La Maina' (o Lumiei):  a Sauris, un altro gigante in calcestruzzo della tipologia ad arco, nonché la prima diga in assoluto da Lui progettata.


'Barcis' (o Ponte Antoi):  in provincia di Pordenone; un'elaborata struttura eretta in Valcellina di notevole impatto visivo.

'Pian di Fedaia':
a Trento, ai piedi della Marmolada.


La diga del
'Mis': sul fiume Cordevole (foto sotto) 

e molte altre...



La carriera di Semenza quindi, nonostante la sua prematura scomparsa, fu estremamente prolifica e quella che Lui svolse, in oltre trent'anni di servizio fu un'opera titanica, ciclopica come le sue creature, ma anche imponente come il numero dei chilometri di canali, strade, ponti e gallerie da lui progettate: ben 250!
Una lista, questa delle dighe che sarebbe ancora lunga e comprenderebbe manufatti dislocati persino all'estero come la diga di 'Doblar', in Jugoslavia, o la diga di 'Kurube' in Giappone.
Rimarchevole poi anche il ruolo di consulente da lui svolto in molte nazioni: Germania, Grecia, Giappone, Cina, Pakistan, Venezuela, Brasile, Messico, Spagna, Iran e Iraq.


Contributi professionali internazionali giustificati dalla solida competenza dell'ingegnere considerato da sempre il caposcuola delle dighe a cupola come quella di Vodo (un manufatto ambizioso dalle audaci linee che lo rendono, a tutt'oggi, attualissimo), o quella del Vajont.
Alcuni furono anche i progetti che purtroppo non approdarono mai ad una concretizzazione, come ad esempio: Sappada, Valvisdende, Romotoi, Mezzocanale, Podestagno, Campocroce.
Semenza fu altresì promotore della ricerca statica su modelli e firmò ben cinquanta memorie specialistiche.
A questo instancabile professionista vennero anche conferite due lauree honoris causa: quella del Politecnico di Milano e quella dell'Ateneo di Monaco.
Una figura professionale di altissima caratura quindi, che è specchio della personalità dell''uomo Semenza': sempre disponibile al confronto, ad accogliere scelte ed opinioni, pronto a coinvolgere, con entusiasmo e fiducia, collaboratori di tutti i livelli e non la macchietta creata a fini teatrali da Marco Paolini ritratta a bordo di un elicottero, o in sella ad un sidecar mentre scorrazza per il Vajont.
Teoremi ed affondi atti ad inquinare la reale immagine di un uomo che si votò, invece all'onestà intellettuale e alla corretta pratica operativa, nonché un professionista vicino alla sua gente che non esitava a procacciare nuovi lavori per le sue maestranze alla chiusura di ogni cantiere.


Tra le grandi passioni del Semenza è doveroso poi citare quella per la montagna; un hobby che coltivò in parallelo alla sua attività al punto di divenire il fondatore, nonché primo presidente, nel 1925, del CAI (Club Alpino Italiano).


Non è trascurabile poi l'attenzione che l'ingegnere pose alla comunicazione ed, in particolare, all'uso del documentario industriale come strumento per rappresentare le varie fasi della genesi di una diga. Nel cortometraggio '261.60', un piccolo trattato tra ingegneria ed antropologia infatti, Semenza si cala anche nei panni di cronista televisivo e con tono celebrativo, mentre le immagini scorrono, commenta le varie fasi della costruzione dello sbarramento sul fiume Vajont.
Un filmato memorabile, una vera gemma in bianco e nero che ci mostra un professionista che già aveva intuito il valore dei media e che, proprio in questa occasione reciterà:



'Quando un’opera è terminata gioia e amarezza si fondono. Gioia perché ognuno di noi può dire "Ci siamo riusciti!" ma le ansie, le ore di fatica e soprattutto il ricordo dei nostri compagni caduti sul lavoro, un po’ di noi stessi insomma non ci appartengono più: restano là, sull'opera e nel tempo patrimonio di tutti. [...] La diga del Vajont è ormai giunta al termine. Gioia e amarezza, come dicevo poco fa, sono dentro un po’ a tutti noi. Si smontano i cantieri, le acque del bacino salgono a poco a poco. Nuovi progetti attendono i tecnici e gli operai che hanno costruito la più alta diga a volta e doppia curvatura del mondo. Per tanto tempo ancora, per anni, racconteranno e rievocheranno questa singolare avventura del lavoro umano e avranno il vanto di dire: "IO C’ERO!"



Durante la sua vita, Semenza dimorò tra Venezia, Vittorio Veneto e nell'Alpago, un'amena località delle montagne bellunesi nella quale egli amava spendere i suoi rari momenti di riposo; un luogo che egli aveva conosciuto durante la Seconda Guerra Mondiale e cioè quando era stato sfollato da Venezia a causa dei bombardamenti ed al quale era rimasto molto legato, così come il figlio Edoardo, geologo.
Proprio quest'ultimo, nel suo libro dedicato al Vajont, ci ricorda il padre con parole che ci offrono l'immagine di una persona dotata di forte carica umanitaria, un Carlo Semenza che apprezza il prototipo dell'uomo che riconosce la dignità della propria natura creata per praticare coraggiosamente le virtù e per crescere nella conoscenza senza adagiarsi nell'abitudine.


Edoardo Semenza, infatti scrive: 'Mi è caro ricordare qui un passo del grande poema di Dante che mio padre, tra il serio e il faceto, ripeteva spesso come ammonimento a sé, ovviamente, ma anche a tutti:



'Considerate la vostra semenza, fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza...'.(Inferno Canto XXVI)







martedì 5 giugno 2012

IL FANTASTICO SOGNO DI SOERGEL (l’indagine Atlantropa continua..)



                                                                               


Il 20 gennaio del 1978, nella storica trasmissione
‘Portobello’ un inventore milanese propose di spinare il passo del Turchino, abbassandolo sino al livello del mare.
L’idea del Turchino appare folle, ma molto semplice se comparata al progetto grandioso di Herman Sörgel, l’architetto tedesco che desiderava unire l’Europa all’Africa svuotando il Mediterraneo: IL PROGETTO ATLANTROPA.
Tale progetto avrebbe creato  nuovi spazi, le città sarebbero state proiettate nel futuro, vi sarebbe stata energia in abbondanza, non vi sarebbero state più guerre e povertà, ma solo prosperità e pace.

Ma quali tecnologie e investimenti avrebbe richiesto questo colossale progetto?


Herman Sorgel

All’inizio degli anni ‘20 Monaco è una delle roccaforti dei liberi pensatori; tra quelli di spicco vi è Sörgel.

Egli è convinto della validità della sua grande idea e, dotato di una personalità carismatica, questo geniale architetto è alla ricerca di sostenitori per concretizzare il suo formidabile proposito.


Il suo audace progetto, infatti, prevedeva la costruzione di una gigantesca diga tra l’Atlantico e il Mediterraneo, uno sbarramento che avrebbe consentito di strappare al mare mezzo milione di chilometri quadrati di terre, facendo emergere una superficie pari a quella della Francia e del Belgio e che contemplava altresì la costruzione di ulteriori enormi dighe atte a sbarrare i fiumi che sfociavano nel Mediterraneo.
Tutta questa serie di manufatti avrebbe permesso di generare 110.000 mw di elettricità e, in tal modo, i problemi energetici dell’Africa e dell’Europa sarebbero stati risolti.
Inoltre Sörgel intendeva di erigere un ponte tra i due continenti.
Le città portuali sarebbero arretrate e nuove città sarebbero sorte lungo le nuove coste.
Questo progetto avrebbe richiesto un milione di lavoratori e 150 anni di lavoro.
Il mare si sarebbe abbassato di circa 200 m. e l’Europa e l’Africa sarebbero divenute un unico continente risolvendo tutti i problemi del tempo.
Sörgel appoggiava la teoria nella quale si sosteneva che il Mediterraneo, prima di essere inondato dall’Atlantico dopo la prima glaciazione, fosse una terra asciutta; per questo egli desiderava farla riemergere.

L’ipotesi dell’architetto si è dimostrata valida, perché oggi sappiamo che il Mediterraneo senza il flusso d’acqua proveniente dallo stretto di Gibilterra, potrebbe asciugarsi a causa dell’evaporazione.
Abbiamo altresì le prove che fosse asciutto, grazie al sale estratto nei fondali marini: sale precipitato quando tutta l’acqua cinque milioni di anni fa evaporò.

Sörgel nello stretto credeva di poter erigere un’enorme centrale elettrica e la sua teoria divenne sempre più popolare e condivisa.
Un suo sostenitore, l’ingegnere svizzero Sigwart, si recò con il progettista sullo stretto per effettuare una serie di misurazioni.
L’architetto aveva pianificato di abbattere un’intera catena montuosa in Spagna il che avrebbe comportato la distruzione della città di Tarifa e i detriti sarebbero stati gettati in acqua in un punto preciso in modo da creare le basi per una diga ciclopica.
Il progetto, infatti, contemplava la costruzione di fondamenta sottomarine lunghe 2500 m. e alte oltre 300 m.
I numeri parlano da soli: si trattava di un’opera straordinariamente ambiziosa.
Ci sarebbero voluti una decina d’anni e un milione di lavoratori per erigerla, ma una volta portata a termine, la centrale sarebbe stata la più grande del mondo e, con una produzione di un milione di megawatts, avrebbe soddisfatto il fabbisogno energetico di un’intera  nazione come l’Italia.

Sarebbero state necessarie delle turbine Francis che, al tempo esistevano, ma non delle dimensioni che il progetto richiedeva e cioè alte più di un centinaio di metri.
Una turbina del tempo produceva circa 70.000 mw e così ne sarebbero servite un migliaio: il gigantesco immobile che difficilmente sarebbe stato realizzabile.

La diga di Gibilterra sarebbe stata lunga 35 km e città come Genova o Venezia avrebbero perso il loro sbocco sul mare.
Per questa ragione, nel nostro paese il progetto incontrò numerose critiche.

Per Venezia Sörgel aveva un disegno speciale: trasformarla in un monumento nazionale e centro turistico; i canali sarebbero scomparsi e, al loro posto, sarebbe sorto un deserto di sale. Un’enorme diga sarebbe stata eretta a trenta chilometri dalla città e Venezia sarebbe divenuta un museo a cielo aperto.

Genova, che sarebbe finita anch'essa distante dalla costa si sarebbe ritrovata affacciata su un lago e non più sul mare; la città di Colombo,  avrebbe avuto uno sviluppo di sei volte superiore a quello attuale, una metropoli gigantesca. Al centro della nuova Genova sarebbe stato costruito un viale panoramico lungo tre chilometri che avrebbe permesso di far spaziare lo sguardo dalla terra al mare divenuto lontano.







John Knittel




Nel '39 Knittel, scrittore e sostenitore di Sörgel, pubblica un libro ‘Via Mala’.
Esso incontra un notevole successo e rappresenta una buona propaganda per il progetto.
Un capitolo dell’opera infatti è dedicato ad Atlantropa.
Knittel contribuì anche economicamente il progetto e, grazie a questo denaro, venne girata persino una pellicola che illustrava in maniera minuziosa il progetto.





Quale destino però attenderà Herman Sorgel?

Il sogno di Sörgel si spezza definitivamente in una sera di Dicembre del 1952.
Sorgel deve tenere una conferenza, ma durante il tragitto, in sella alla sua bici, è vittima d’un incidente stradale: un auto lo investe e poi fugge.
L’architetto,  gravemente ferito, è condotto all’ospedale di Monaco.
L’uomo che voleva ridisegnare la geografia del mondo si spense il 25 dicembre del 1952 all’età di 67 anni.
Il pirata della strada non fu mai rintracciato.
L’istituto Atlantropa sopravvisse per qualche anno, ma il fascino e lo zelo di Sorgel non vennero mai sostituiti e così, alla fine degli anni ‘50, venne chiuso.








giovedì 2 febbraio 2012

Una diga sullo stretto di Gibilterra: un libro e un articolo


Nel 1954 
fu il libro di Willy Ley a popolarizzare il progetto Atlantropa. L'idea di sbarrare con una colossale diga lo Stretto di Gibilterra proposta dall'architetto Herman Sörgel venne infatti proposta, tra altri Sogni d'Ingegneri, nella sua opera 'Engeneers Dreams' .....

Sempre a proposito di questo avveniristico progetto, pubblico quest'oggi le prime tre pagine di un articolo che, di recente, ho trovato in rete ed il cui titolo è: 'Mediterraneo e fantascienza'.








UN POST IMPERDIBILE

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